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Dalla diagnosi ai trattamenti: come affrontare una condizione comune e spesso senza sintomi
Si chiama utero retroverso la condizione anatomica in cui l'utero è inclinato all'indietro, verso la colonna vertebrale, anziché in avanti verso l'addome e il pube.
In una posizione considerata “normale”, l'utero si trova nelle pelvi, sistemato tra la vescica e il retto. Ha la forma di una pera capovolta, con una leggera inclinazione in avanti (antiversa), poggiato sulla vescica.
Nel caso di un utero retroverso, invece, si trova inclinato posteriormente, più verso il retto, in modo parziale o totale.
Può essere congenito, quindi presente fin dalla nascita, oppure svilupparsi nel corso della vita in seguito a gravidanze, interventi chirurgici o per la presenza di endometriosi o di fibromi.
Molte donne non sanno nemmeno di avere un utero retroverso, poiché il più delle volte non procura sintomi e, nonostante sia una condizione piuttosto comune (circa il 25% delle donne ha un utero retroverso), raramente implica delle complicazioni per la salute. Anzi, molto spesso non comporta alcun problema.
Avere un utero retroverso non è una malformazione, ma semplicemente una variante naturale dell’anatomia femminile.
Non tutte le donne con utero retroverso, inoltre, sperimentano dei sintomi. Per molte, la condizione è completamente asintomatica.
Se presenti, tuttavia, i sintomi più comuni includono:
Si stima che circa il 20-30% delle donne abbia un utero retroverso, una condizione che spesso si scopre casualmente durante una normale visita ginecologica.
Se nella maggior parte dei casi è congenito, in altri l'utero può cambiare posizione nel corso della vita per motivi specifici, tra cui:
Il timore di molte donne è che avere un utero retroverso possa rendere difficile rimanere incinta o causare complicazioni durante la gravidanza. Ma è davvero così? In realtà no, non ostacola il concepimento, né compromette la fertilità, soprattutto se presente sin dalla nascita.
Se, invece, la causa della retroversione è la presenza di fibromi uterini, di endometriosi o di malattie infiammatorie pelviche (PID), la possibilità che queste problematiche possano influenzare la capacità di concepire o portare a termine una gravidanza è reale.
In questi casi, il problema non è la posizione dell’utero, ma la malattia sottostante che può creare delle complicazioni e interferire con la normale funzione riproduttiva.
Molto spesso, durante la gravidanza, l’utero retroverso tende a correggersi naturalmente. Di solito, verso il terzo mese di gestazione, l’utero si sposta in avanti, assumendo la posizione corretta, consentendo un decorso della gravidanza del tutto simile a quello delle donne con un utero antiverso.
Può accadere però, anche se raramente, che l’utero non si riposizioni spontaneamente. In tale circostanza, entro la 14° o 15° settimana si può ricorrere a una lieve manipolazione per aiutare l’utero a tornare in posizione corretta, consentendo un parto regolare.
Un’altra falsa credenza è che l’utero retroverso possa causare aborti spontanei. In realtà non è così e il rischio di aborto non è più elevato rispetto alle donne con utero antiverso, in assenza, però, di malattie che influenzano o determinano la retroversione.
Molto raramente, infine, l’utero retroverso può rimanere bloccato nel bacino. In questo caso si parla di “utero incarcerato”, una condizione che, se non trattata, può aumentare il rischio di complicazioni, incluso l’aborto.
La diagnosi di un utero retroverso parte dall'anamnesi, cioè dalla raccolta di informazioni da parte del medico sui possibili sintomi. Anche se spesso è una condizione asintomatica, alcune donne possono riferire disturbi come dolori pelvici, dispareunia o pressione vescicale, tutti indizi utili per approfondire la situazione.
Gli strumenti diagnostici sono:
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Ecografia Transvaginale o, in alcuni casi, la retto-vaginale per indagini più approfondite.
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Sono tutti esami che consentono di visualizzare con precisione le dimensioni e la posizione dell’utero e di valutare la relazione dell’utero con gli organi vicini all’interno della pelvi. Grazie a queste immagini, il medico può confermare o meno la diagnosi di utero retroverso e verificare l’eventuale presenza di fibromi o aderenze da endometriosi, che potrebbero influire sulla sintomatologia.
L'ecografia permette di “vedere” la retroversione e quindi di verificare che si tratta di una variante anatomica che, nella maggioranza dei casi, non comporta conseguenze.
Può capitare che l’utero retroverso si risolva spontaneamente (come può accadere durante la gravidanza), per cui non è necessario alcun trattamento.
Se, invece, ci sono sintomi che creano disagio, le possibilità per intervenire in modo efficace sono diverse.
È possibile, ad esempio, eseguire una manovra manuale per riposizionare l’utero nella sua posizione corretta. È un procedimento delicato e non invasivo, che può aiutare ad alleviare i sintomi.
In alternativa, si può usare il pessario di Hodge, un piccolo dispositivo in silicone o plastica che si posiziona all’interno della vagina per aiutare a mantenere l’utero inclinato in avanti. Può essere utilizzato temporaneamente o in modo permanente, se indicato.
In alcuni casi, invece, può essere utile ricorrere a un intervento chirurgico chiamato isteropessi, che serve a fissare l’utero nella sua posizione normale.
Oltre ai trattamenti fisici, sono disponibili anche cure farmacologiche mirate per attenuare i sintomi. Ad esempio: antidolorifici, antibiotici per le cistiti ricorrenti, lassativi per la stipsi o le terapie ormonali per trattare l’endometriosi.
Infine, può essere utile eseguire alcuni esercizi di rafforzamento dei muscoli del pavimento pelvico che sostengono l'utero e aiutano a ridurre gli eventuali sintomi.
Sarà il medico a valutare il trattamento più adatto alle proprie esigenze e alle condizioni specifiche.
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